Di logge, sale e camere "tutte, ciascuna di sè bellissime e di liete pitture ragguardevoli et ornate", era composta la Villa ove "i narratori" del Decamerone si rifugiarono, a Villa Tornabuoni Lemmi siamo immediatamente immersi nella medesima atmosfera descritta dal Boccaccio. La stanza affrescata, posta a piano terra, è forse il più intatto esempio, pervenuto ai giorni nostri, delle decorazioni parietali trecentesche. Protagonisti della raffigurazione pittorica: meli, peri, melograni e fichi che sfondano idealmente le quattro mura della stanza poco illuminata dalla luce naturale e inondano del sole della campagna l’ambiente destinato dal padrone di casa al riposo e alla meditazione.
Siamo ai prodromi dell’Umanesimo, nel massimo sviluppo economico del Contado fiorentino, quando i mercanti, oramai divenuti i veri maggiorenti della Comune tornano ad abbellire la campagna e ad abitarla, dopo avere fatto rifiorire le messi e la vite e avere curato gli orti. A giudicare dalla completezza formale delle decorazioni la villa alla fine del trecento doveva avere una certa unità architettonica frutto di una lenta evoluzione storica.
È probabile infatti che il primo nucleo risalga al IX secolo e sia un Habituro acto a fortezza costruito a protezione del territorio dalle scorrerie di Ungari e Saraceni, con l’avvento dell’età comunale si assiste, per volere del potere cittadino, al riordino della campagna e della rete viaria allo scopo di favorire i commerci e di presidiare il territorio. Si realizzano opere di restauro dell’edificio preesistente per poter accogliere le nuove utilizzazioni in relazione al migliore sfruttamento agricolo del territorio, al vecchio nucleo originario si aggiungono così nuove costruzioni che si ergono intorno alla torre antica, con al centro l’aia e il pozzo.
L’uomo si impadronisce dei luoghi e li destina all’arricchimento della famiglia, si concretizza così il mito dell’uomo ordinatore della natura, tipico della cultura filosofica ed artistica dell’Umanesimo. Nel Quattrocento si delinea la mutazione della casa colonica "Rosedo" dove si pratica l’agricoltura nella "Villa luogo di delizie", dove si pratica la "villeggiatura", termine ancora molto fluido che comprende L’Otja atque negotia della vita di campagna. A realizzare i sogni del proprietario che vuole emulare la tarda nobiltà medioevale, pensa il "progettista" che attraverso restauri e aggiustamenti realizza - come sottolinea il Vasari - una compenetrazione tra casa e campagna o tra casa e giardino.
Gli antichi ambienti chiusi ed arcigni, con torri e camminamenti difensivi, duri e scontrosi, con poche e modeste aperture e muri a faccia vista, si modificano e lentamente, con accurato "acconcimi" (decorazioni), si trasformano in luogo di delizie per i nuovi proprietari. La Villa, espressione tra le più significative dell’architettura dell’Umanesimo e del Rinascimento italiano, diventa il manufatto architettonico che meglio esprime la nuova filosofia di vita ed i nuovi rapporti tra uomo e natura, tra uomo e società. I Da Galliano, antica famiglia proveniente dal Mugello come i Medici, scelgono, quale luogo dove praticare la villeggiatura, il Chiasso Maciarelli e chiamano a restaurare l’esistente "resedo" Michelozzo di Bartolomeo, architetto pratico negli aggiustamenti e attento traduttore dei linguaggi provenienti da epoche lontane. Nell’ intervento sul "resedo" trecentesco nel "luogo dicto Chiasso Maciarelli", Michelozzo ripete la stessa operazione di "acconcimi" e di aggiunte che ha svolto "per assaissimi modelli di edifici siano essi palazzi oppure ville".
Al "resedo" viene aggiunto un nuovo volume posto di fronte all’edificio adibito a casa colonica, inglobando il corpo di fabbrica preesistente dove è posta la stanza affrescata che ci ha accolti all’inizio. Questo sensibile aumento di volumi porta l’antica costruzione a perdere la connotazione tardo medioevale, cioè parallelepipedi che si intersecano sia in senso orizzontale che verticale (la torre) e ad acquistare la classica forma geometrica del Cubo, generato dalla pianta quadrata, simbolo di perfezione nel Quattrocento. Un clichè ideale, facendo perno sul pozzo posto al centro del cortile esalta le diversità altimetriche esistenti. All’inizio e alla fine di questo percorso che ricuce vecchie destinazioni, vecchie storie legate ad altri proprietari, restano i dipinti che tramandano gli antichi uomini, le donne, i matrimoni, le lotte per il potere, la ricchezza ed infine il tramonto.
I primi, sono rappresentativi degli anni del risveglio, della nuova ricchezza, dei primi traffici, del fulgore del Comune di Firenze e gli ultimi sono ordinati, dai nuovi proprietari i Tornabuoni, al pittore Sandro Botticelli, amico di Marsilio Ficino e Poliziano e come loro frequentatore dell’Accademia Platonica fondata da Cosimo dei Medici a Careggi. Con i Tornabuoni, potenti tesorieri di Papa Sisto V e legati da stretti vincoli di parentela con i Medici, (Lucrezia Tornabuoni è la madre di Lorenzo de Medici detto “Il Magnifico”) la Villa è all’acme del massimo fulgore. La Villa si riveste di nuove decorazioni e di pregevoli arredi, oltre al Botticelli, il Ghirlandaio affresca la Cappella. Di questi ultimi si ha notizia solo da quanto narrato dal Vasari; il torrente di Tersolle che scorre lungo ai confini della Villa già nel cinquecento li aveva fortemente danneggiati.
Anche gli affreschi di Botticelli nella loggia a ricordo delle nozze di Lorenzo Tornabuoni con Giovanna di Maso degli Albizzi - matrimonio celebrato il 15 giugno 1486 - non sono più nella villa, tranne per un piccolo riquadro, appartengono ora alla Francia ed accolgono il visitatore nel museo del Louvre. L’unico affresco rimasto nella villa è visibile solo per la parte inferiore: vi è raffigurato un uomo vestito dell’abito rosso del Gonfaloniere di Giustizia, forse Giovanni o Niccolò Tornabuoni, con una fanciulla accanto. Dietro di loro si intravede il paesaggio collinare di Careggi e il fiume Terzolle, che scorre tra i campi: la stessa vista che tutti i vari proprietari e visitatori hanno potuto godere affacciandosi da quella Loggia fino agli inizi dell’Ottocento.
Due riproduzioni realizzate dall’Alinari, consentono comunque di ammirare i due principali affreschi, dove in uno Lorenzo Tornabuoni viene presentato dalla Grammatica alla Prudenza e alle altre arti liberali e nell’altro Giovanna degli Albizzi riceve fiori da Venere accompagnata dalle Grazie, entrambe le scene sono ambientate all’esterno e si svolgono di notte forse perchè secondo la letteratura medioevale, compreso Dante, gli incontri fra uomini e le figure allegoriche e mitologiche possono avvenire solo in sogno. Ma siamo alla fine, i Tornabuoni, seguiranno così come nella fortuna le sfortune della casata dei Medici e il Cinquecento conduce l’Italia e Firenze ai margini della grande finanza europea che si affaccia sull’Atlantico.
Nel 1953 l’Inail acquista la Villa con annesso podere per la realizzazione del Centro traumatologico ortopedico (Cto) di Firenze, e destina la Villa a foresteria dopo le opere di necessario restauro. Esauriti i motivi per la destinazione della Villa, quando i Cto sono stati trasferiti al Servizio sanitario nazionale, l’Istituto negli anni '80, volendo dare un riferimento preciso alla politica delle relazioni culturali e della formazione del personale ha individuato nella Villa Tornabuoni Lemmi, la sede adatta, riportandola alla sua antica vocazione. Le stanze si sono così ricomposte ed hanno riacquistato rispondenza tra architettura, pittura e arredo, e accogliendo le nuove funzioni, sono tornate ad ospitare occasioni di cultura.
Villa Tornabuoni Lemmi

Immagini della sede
Ultimo aggiornamento: 07/06/2013