INAIL - Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro

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Silice cristallina

Con il termine silice si fa riferimento a una delle sostanze minerali più comuni presenti in natura, formata da silicio (Si) e ossigeno (O) che, assieme, costituiscono circa il 74% in peso della crosta terrestre. Generalmente questi due elementi chimici si combinano con altri per formare i silicati, minerali costituenti di molte rocce. In particolari condizioni, tuttavia, possono legarsi tra loro dando origine al gruppo dei minerali della silice (SiO2).


In essi la disposizione interna degli atomi di silicio e di ossigeno può assumere un andamento regolare (silice libera cristallina) o disordinato (silice libera amorfa). In natura la silice si presenta in forme cristalline diverse (polimorfi). Il quarzo, costituente minerale primario di molte rocce vulcaniche, sedimentarie e metamorfiche è senza dubbio la forma più comune di silice libera cristallina (Slc) presente in natura. Cristobalite e tridimite, più rare, compaiono principalmente nelle rocce di natura vulcanica e nei prodotti impiegati dall’industria.


Le forme cristalline della silice sono quelle di maggiore interesse per la medicina del lavoro e per l’igiene industriale, perché responsabili di patologie a carattere invalidante. L’esposizione alle polveri contenenti Slc è, infatti, causa della silicosi, per lungo tempo la malattia professionale più importante registrata tra i lavoratori del nostro paese. La copertura assicurativa obbligatoria contro la silicosi venne istituita in Italia nel 1943, ritenendo già allora che questa specifica tecnopatia, proprio per le gravi conseguenze invalidanti, dovesse essere protetta da una tutela speciale.


La valutazione del rischio silicosi presenta ancora oggi diverse criticità dovute all’assenza di orientamenti istituzionali chiari riguardo ai sistemi da adottare per campionare le polveri, alla scarsa diffusione di programmi di controllo di qualità delle prestazioni dei laboratori nei quali si eseguono le analisi e, non ultima in ordine di importanza, alla mancanza di valori limite di esposizione professionale (Vle) riconosciuti per legge. Per quest’ultimo aspetto si fa spesso riferimento ai limiti consigliati dall’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (Acgih) sia per le varietà cristalline sia per quelle amorfe.

Monitoraggio dell'esposizione a Slc

Nel caso di attività che possono comportare l’esposizione a polveri silicotigene è necessario, prima ancora di avviare il lavoro, elaborare una “analisi di base” predittiva dell’entità dell’esposizione fondata su un giudizio professionale, con il quale programmare le misure di prevenzione da mettere in atto.

 

L’esposizione a Slc va accertata con valutazioni basate strumentali, finalizzate al confronto del dato rilevato con il valore limite di esposizione professionale. Le strategie adottabili per la corretta valutazione del rischio sono descritte nella norma UNI EN 689, mentre i requisiti generali per le prestazioni dei procedimenti di misura sono dettati dalla UNI EN 482.

 

Il sistema di campionamento e la successiva analisi di laboratorio dovrebbero essere in grado di rilevare un intervallo di concentrazioni di Slc fino a 0,1 volte il valore limite, con un’incertezza massima del 50%.

 

La strategia di misurazione deve tener conto necessariamente delle risorse disponibili. Un primo criterio può essere quello di valutare l’esposizione delle mansioni ritenute più a rischio; in questo caso, se i risultati delle misurazioni sono ben al di sotto del valore limite, si può presumere che tutte le altre attività nel luogo di lavoro si svolgano in condizioni di sicurezza. Poiché però la misura deve essere rappresentativa dell’esposizione, la scelta del luogo, del momento e della durata del campionamento sono decisivi.

 

Di norma il rischio silice viene valutato con campionamenti di tipo personale, suddividendo i lavoratori in gruppi di esposizione omogenei; salvo casi particolari, per ogni gruppo individuato viene eseguito un campionamento ogni dieci addetti.

 

Se la mansione è caratterizzata da un certo grado di omogeneità, un campionamento protratto tra 2 e 8 ore, può fornire una stima adeguata della reale esposizione. In tal caso la durata effettiva dovrà essere calibrata in funzione della polverosità generalmente associata alla mansione in esame e in base alle condizioni ambientali.

 

Nei casi in cui la mansione preveda più cicli di lavoro distinti sul piano operativo e o variabili, in alternativa alla misure a lungo termine, è consigliabile la misurazione “a step”. L’esposizione, in tal caso, sarà calcolata in base alle concentrazioni rilevate e ai tempi effettivi di esposizione delle singole fasi lavorative.

Ultimo aggiornamento: 26/09/2014