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Via IV Novembre

Via IV Novembre. Immagine copertina

Il lotto di terreno sul quale adesso sorge il palazzo dell’Inail a via IV Novembre fu, per la sua posizione strategica, oggetto di numerosi interessi e fonte di infinite controversie.
Nel 1886, al termine di una di queste, si decise di costruirvi il Teatro nazionale. Ma le polemiche ripresero non appena furono tolte le impalcature e inaugurata la costruzione.
I giornali criticarono duramente forme e proporzioni dell’edificio realizzato su progetto del già peraltro famoso e apprezzato Francesco Azzurri. In particolare non piaceva il disegno in un incerto stile eclettico. Gabriele D’Annunzio, per esempio, accusò la facciata di essere pretenziosa e volgare e la tettoia in vetri orribile "perché è una cosa industriale, brutta, meschina, comprata un tanto al metro, appiccicata là a far testimonianza alla taccagneria che ha presieduto al compimento di tutta la parte ornamentale".

A troncare le critiche è il tracollo economico del teatro che non riesce, nonostante la sua posizione centralissima e l’esecuzione di alcuni spettacoli notevoli con interpreti di valore, a chiudere i conti in pareggio. Già nel 1926 ne viene prevista la demolizione con un progetto di Marcello Piacentini che propone di scavare un tunnel per collegare velocemente piazza Venezia con via Nazionale e, quindi, la stazione Termini. La demolizione avviene tre anni dopo, ma con un progetto di ricostruzione più semplice, affidato al Brasini.
Armando Brasini è in quel momento uno degli architetti più in voga a Roma, insieme con Marcello Piacentini e Cesare Bazzani. Ha un enorme studio a via dei Prefetti che, per fasto e gusto decadente, potrebbe competere con il Vittoriale di D’Annunzio; ha pubblicato i suoi disegni visionari in "L’Urbe Massima"; ha realizzato piani urbanistici, palazzi, negozi e le scenografie dei film "Theodora" (1919) e "Quo Vadis?" (1923).
Motivo del successo professionale: il suo carattere affabile e salottiero e il suo tradizionalismo architettonico, aperto a suggestioni romantiche. Brasini è, infatti, insensibile a qualunque apertura all’architettura moderna, che disprezza, e persegue una poetica che si rifà esplicitamente al barocco visto attraverso il titanismo michelangiolesco e il monumentalismo di Piranesi. L’architettura di Brasini incontra anche l’appoggio del capo del fascismo, Benito Mussolini, che ha da poco preso il potere e sogna di costruire una nuova Roma. Ma un appoggio non senza riserve, in quanto Mussolini, pur apprezzando l’opulento tradizionalismo del Brasini e dei suoi colleghi, non manca di attenzione per i giovani rappresentanti dell’architettura contemporanea capitanati da Terragni e Pagano, che con le loro architetture astratte, razionaliste, senza decorazioni e senza orpelli incarnano, meglio degli accademici, l’ideale rivoluzionario e di apertura al nuovo rivendicato dal Fascismo.

Quando nel 1932 il palazzo di via IV Novembre è terminato e si riaprono le polemiche, lo stesso Mussolini interverrà criticando Brasini per il progetto. Alla Camera dei Senatori, il 28 marzo 1932 dichiarerà che il palazzo realizzato è "un autentico infortunio capitato proprio alle Assicurazioni agli Infortuni". Ma lo sprezzante rilievo non gli avocherà la stima del Duce e non gli impedirà di ottenere altri incarichi prestigiosi: dal Palazzo dell’Inps a Napoli sino all’Istituto forestale Alessandro Mussolini all’ Eur.

È, invece, a partire dalla caduta del Fascismo, che Brasini viene relegato sempre più in secondo piano sino a subire una sorta di damnatio memoriae che è durata praticamente sino a oggi. Prova ne sia che il suo nome non è menzionato neanche nell’enciclopedia dell’Arte della Garzanti, un'opera che dedica spazio anche a Cieco da Gambassi, un oscuro allievo del Tacca. Fine ingloriosa per un architetto che, solo per citare alcune opere, a Roma ha realizzato l’ingresso al giardino zoologico, il museo del Risorgimento, la chiesa di piazza Euclide, il viadotto di corso Francia, la Villa Flaminia presso ponte Milvio e l’edificio del Buon Pastore su via Bravetta e che fuori Roma ha progettato, tra le altre, l'Accademia aeronautica a Capo di Chino, il Palazzo del Potestà a Foggia, il Comando dell’Idroscalo e il Palazzo del Governo a Taranto.

È solo da qualche anno che alcuni critici stanno tentando di rivalutare il personaggio (ricordiamo in proposito una monografia di Mario Pisani apparsa per i tipi di Officina), perdonandogli i suoi due principali peccati: la retorica classicista e il ritardo rispetto ai tempi. Con questo atteggiamento più distaccato e più disincantato rispetto all’obbligo di un artista di essere a tutti i costi moderno, è possibile tentare di riformulare un giudizio critico anche sul palazzo di via IV Novembre. Certamente non è un capolavoro e non lo è non solo rispetto alla migliore produzione contemporanea (tra il 1928 e il 1932 si realizzano in Europa e negli Stati Uniti alcuni tra i massimi capolavori dell’architettura moderna), ma neanche rispetto alle stesse opere più riuscite del Brasini: la Villa Flaminia e l’Edificio del Buon Pastore, caratterizzate da un gusto barocco monumentale ma trasognato e quasi metafisico.

Eppure l’edificio di via IV Novembre, ha alcune buone soluzioni spaziali (per esempio nello scalone monumentale) e, inoltre, ha una facciata particolarmente interessante, soprattutto in relazione alla difficoltà del contesto nel quale si inserisce. Due le brillanti soluzioni del Brasini: la prima è la concava curvatura dei primi due piani che invita il visitatore verso il portone di ingresso, accogliendolo quasi con un abbraccio e che, nello stesso tempo, conclude scenograficamente la prospettiva della strada vista da piazza Venezia, la seconda concerne il modo di organizzare i sette piani in altezza dell’edificio. Due fanno parte del corpo d’ingresso e sono inquadrati da colonne giganti di ordine dorico, altri quattro sono leggermente arretrati e sono anch’essi inquadrati da colonne giganti di stile corinzio; l’ultimo piano è ancora più arretrato e, accanto a questo, svetta più alta una torre. L’utilizzo di colonne così gigantesche ha un duplice effetto: garantisce un forte effetto plastico che permette anche da lontano la leggibilità dell’edificio e lega in insiemi organici finestre che altrimenti avrebbero frammentato l’unità del prospetto.

Inoltre l’edificio, una volta spezzato in tre (anzi in quattro, se consideriamo la torre) diventa più leggero: non incombe sulla strada con i suoi sette piani, ma anzi suggerisce una progressione verso l’alto, che lo slancia. Progressione che è particolarmente visibile e pittoresca se vista dal sottostante parco di Villa Colonna e che sarebbe stata resa ancora più evidente se sulle balaustre delle terrazze si fossero poste delle statue così come previste dal progetto orginario.

Una nota di curiosità, per concludere. Brasini nel 1966 viene citato più volte dall’architetto americano Bob Venturi in un suo libro, molto noto e apprezzato tra gli addetti ai lavori: Complexity and contradiction in architecture. Per Venturi, che lo ricordiamo è stato l’architetto che ha aperto l’architettura moderna all’influsso della pop art, Brasini è un progettista da riscoprire. Quale è la lezione che, secondo l’architetto americano, l’italiano può darci con la sua pur anacronistica produzione neobarocca? Una prodigiosa capacità di organizzare insiemi unitari e nello stesso tempo variarli attraverso un funambolico gioco di parti e di dettagli.

Immagini della sede Inail di via IV Novembre

  • Immagine 1

    Via IV Novembre. Immagine 1

  • Via IV Novembre. Immagine 2

    Via IV Novembre, scalone d'onore

  • Via IV Novembre. Immagine 3

    Via IV Novembre, Parlamentino Inail

  • Via IV Novembre. Immagine 4

    Via IV Novembre, particolare della scala interna

  • Via IV Novembre. Immagine 5

    Via IV Novembre, particolare dello scalone

  • Via IV Novembre. Immagine 6

    Via IV Novembre, particolare della statua all'ingresso del palazzo