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22 marzo 2019
Malattie professionali, Inail e Patronati d’Italia insieme per la tutela dei lavoratori
L’auditorium della Direzione generale dell’Istituto ha ospitato a Roma l’ultima tappa del ciclo di quattro incontri interregionali, organizzato con l’obiettivo di affrontare le criticità legate alla valutazione delle patologie lavoro-correlate. Lucibello: “Confronto utile anche per superare le difficoltà operative con cui dobbiamo misurarci”
Malattie professionali, Inail e Patronati d’Italia insieme per la tutela dei lavoratori
ROMA - Affrontare le criticità legate alla gestione delle domande di riconoscimento delle malattie professionali, favorendo l’uniformità delle valutazioni delle patologie su tutto il territorio per migliorare il livello della tutela garantita ai lavoratori. È questa la premessa che ha spinto l’Inail e i patronati del CePa (Acli, Inas, Inca e Ital) a promuovere, a partire dallo scorso luglio, una serie di appuntamenti interregionali con esperti e medici legali, rilanciando anche a livello locale i principi della loro collaborazione.
“Il dialogo proseguirà in modo stabile a livello territoriale e centrale”. Dopo Milano, Bologna e Palermo, l’iniziativa si è conclusa mercoledì 20 marzo a Roma con il quarto incontro, ospitato nell’auditorium della Direzione generale dell’Istituto di piazzale Pastore. Il dialogo tra l’Inail e il Centro Patronati, come ha sottolineato nel suo saluto il direttore generale dell’Istituto, Giuseppe Lucibello, è destinato però “a proseguire stabilmente sia a livello territoriale che centrale”. Il confronto con il patronato, ha detto infatti Lucibello, “è da sempre parte del nostro modo di lavorare e oggi c’è la necessità di arricchirlo ulteriormente per fare fronte alle difficoltà operative con cui dobbiamo misurarci, che nascono anche dalla progressiva riduzione della nostra forza lavoro”.
Nuovi lavori, nuovi rischi. Come è emerso nel corso della giornata, uno dei problemi principali da affrontare deriva dai cambiamenti del mondo del lavoro, che nell’ultimo decennio hanno assunto un ritmo particolarmente accelerato, finendo per modificare i rischi per la salute a cui sono sottoposti i lavoratori e, di conseguenza, anche il quadro delle malattie professionali denunciate e riconosciute. “Parlare delle malattie professionali – ha sottolineato a questo proposito Agatino Cariola, direttore centrale Rapporto assicurativo Inail, nell’intervento di apertura – significa parlare del lavoro che cambia. Nel momento in cui si devono valutare le cause di una patologia, bisogna conoscere bene il percorso professionale del lavoratore”.
Cariola: “Dobbiamo esplicitare le nostre regole di ingaggio”. Rispetto al passato, infatti, oggi è più frequente il passaggio attraverso diverse realtà lavorative, con contratti più precari e in condizioni di lavoro sottoposte a continue modifiche per il cambiamento tecnologico e organizzativo. Individuare i rischi a cui un lavoratore può essere stato esposto nel corso della sua vita lavorativa può, quindi, essere più complesso e avere ricadute negative anche sull’iter per il riconoscimento delle malattie professionali. Di qui la necessità, secondo Cariola, di esplicitare le “regole di ingaggio” dell’Istituto, per aiutare i patronati nella loro azione di patrocinio del lavoratore, e di “superare l’approccio burocratico che talvolta, in prima istanza, porta l’Inail alla chiusura della pratica, in mancanza di elementi che consentano il riconoscimento delle patologie”.
“Nessun budget da rispettare per il riconoscimento delle patologie”. Dopo aver liquidato come “leggenda metropolitana” l’idea che “l’Istituto abbia dei budget da rispettare per il riconoscimento delle malattie professionali, perché non ci sono problemi di finanziamento delle prestazioni”, Cariola ha sottolineato anche che “serve una maggiore chiarezza nei nostri provvedimenti, per consentire al lavoratore e al patronato a cui si è rivolto di conoscere le motivazioni che hanno portato al rigetto dell’istanza”.
Troncatti: “Per ridurre il contenzioso le motivazioni devono essere chiare”. Anche per Martino Troncatti, vicepresidente nazionale del Patronato Acli e presidente del CePa, “il tema della chiarezza delle motivazioni dei rigetti delle istanze da parte è molto importante”. Per ridurre il rischio di contenzioso, infatti, “dovrebbe sempre essere indicato qual è la documentazione mancante ritenuta indispensabile dall’Inail per la definizione del caso”. All’assicurato, inoltre, “deve essere garantita la possibilità di acquisire la cartella clinica dell’Istituto e la relativa documentazione, compresi gli accertamenti specialistici, di laboratorio e strumentali, per poter valutare con maggiore consapevolezza l’opportunità di intraprendere ulteriori iter medico-legali, amministrativi o giudiziari”.
Bottazzi: “La mancanza del Dvr non è sufficiente per rigettare un’istanza”. Nel giudizio medico-legale sui casi di malattia professionale, il Documento di valutazione dei rischi (Dvr) redatto dal datore di lavoro, come previsto dal Testo unico del 2008, è uno strumento che sta assumendo sempre più importanza. “La sua mancanza, però, non è motivo sufficiente per chiudere negativamente una pratica di riconoscimento di una malattia professionale – ha spiegato Marco Bottazzi, consulente medico del patronato Inca Cgil – Il Dvr, infatti, si riferisce alle situazioni in atto nel momento in cui è stato redatto e non serve a riconoscere malattie a lunga latenza, come quelle provocate dall’amianto. Il Dvr non tiene conto di condizioni individuali di particolare fragilità o suscettibilità, di origine genetica o acquisita, che possono contribuire all’insorgenza di una patologia. Le eventuali carenze del datore di lavoro, inoltre, non possono impedire, da sole, il riconoscimento della malattia professionale”.
Genesi multi-fattoriale e lunga latenza. Riassumendo i contenuti del documento elaborato dal tavolo tecnico nazionale Inail-Cepa, Bottazzi ha sottolineato che le patologie lavoro-correlate di maggiore frequenza e gravità oggi sono quelle cronico-degenerative, come quelle muscolo-scheletriche e tumorali, in cui la genesi multi-fattoriale e/o la lunga latenza determinano maggiori difficoltà nell’identificare e riconoscere il ruolo causale dell’attività lavorativa, anche per il contributo sinergico spesso attribuito ai fattori ambientali e genetici e agli stili di vita. Questa multi-fattorialità rende dunque necessario richiedere alle componenti medico legali coinvolte nel processo di valutazione delle malattie professionali “un maggiore sforzo nell’analisi di tutti gli elementi disponibili e di quelli eventualmente da richiedere o approfondire, armonizzandoli tra loro anche in riferimento alla letteratura scientifica recente”.
I due binari del percorso di accertamento. I lavori sono proseguiti con un approfondimento della trattazione delle malattie professionali da parte dell’Inail, affidato al sovrintendente sanitario centrale dell’Istituto, Mario Gallo, e alla responsabile del settore Medicina legale assicurativo-previdenziale, Marta Clemente, che ha descritto i passaggi in cui si articola il percorso di accertamento, che procede parallelamente lungo i due binari della diagnosi della malattia e della valutazione del rischio lavorativo. La diagnosi, in particolare, è il frutto dell’anamnesi fisiologica e patologica, della visita medica, della valutazione degli accertamenti sanitari preventivi e periodici e della documentazione che riguarda la patologia denunciata, oltre a eventuali attestazioni di invalidità riconosciute in altri ambiti giuridici.
L’iter per la valutazione dei rischi. Per poter accertare che l’attività svolta abbia esposto il lavoratore all’azione nociva di uno o più agenti patogeni, le informazioni ricavabili dal Dvr e dagli altri documenti forniti dal datore di lavoro (denuncia, questionari predisposti dall’Inail, protocollo sanitario, cartella sanitaria e di rischio, dati sulla sorveglianza sanitaria relativa all’azienda), devono invece essere integrate anche con i risultati delle indagini ispettive e dei pareri della Consulenza tecnica Inail sul rischio professionale nelle aziende e nei settori produttivi di riferimento. Altre informazioni da tenere in considerazione sono quelle disponibili presso i Servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro, il Registro nazionale dei mesoteliomi (ReNam) e i Cor, i Centri operativi istituiti in ogni regione allo scopo di identificare tutti i casi di mesotelioma e analizzare la storia professionale, residenziale e ambientale dei soggetti ammalati, per identificare le modalità di esposizione all'amianto.
Gallo: “L’obiettivo è arrivare a parlare un linguaggio comune”. “Il fine ultimo di questi incontri – ha commentato Gallo – è omogeneizzare i comportamenti, per arrivare a parlare tutti – Inail e patronati – un linguaggio comune, a beneficio dei lavoratori”. Il sovrintendente sanitario centrale si è soffermato anche sulla necessità di favorire l’emersione del fenomeno delle cosiddette “malattie perdute”, per le quali “spesso è difficile dimostrare il nesso causale tra la mansione svolta dal lavoratore e la patologia, soprattutto in presenza di malattie caratterizzate da un lungo periodo di latenza”.
Paura: “La sfida per l’emersione delle malattie perdute”. Il tema delle “malattie perdute” è stato richiamato anche dal direttore centrale Pianificazione e Comunicazione Inail, Giovanni Paura, che ha moderato la tavola rotonda del pomeriggio dedicata alla tutela della salute come diritto dei lavoratori. “Con le lettere di istruzioni operative emanate nel 2006 a firma dell’allora direttore generale – ha ricordato Paura – l’Istituto ha raccolto la sfida delle ‘malattie perdute’ o ‘malattie nascoste’, riconoscendo il fatto che probabilmente non esiste patologia a esclusiva origine professionale. L’evoluzione della trattazione delle malattie lavoro-correlate tiene conto, dunque, della loro genesi multi-fattoriale”. Ne consegue che l’accertamento del nesso tra il rischio lavorativo e la patologia diagnosticata deve indurre a riconoscere la sua natura professionale anche quando abbiano concorso a causarla fattori di rischio extralavorativi.
La situazione delle singole realtà regionali al centro della tavola rotonda conclusiva. La tavola rotonda è servita a calare nella realtà delle cinque regioni coinvolte nell’evento le riflessioni emerse dalla prima parte dei lavori, attraverso il contributo dei rappresentanti delle strutture territoriali dell’Istituto e del CePa. Per i patronati, in particolare, sono intervenuti Fabio Ianera (Inas Molise), Pasquale Scuotto (Ital Campania), Regina Masala (Acli Sardegna) e Fabrizio Baiocchi (Inca Lazio), mentre l’Inail ha partecipato al dibattito con i direttori regionali di Abruzzo, Campania, Molise e Sardegna – Nicola Negri, Daniele Leone, Rocco Mario Del Nero ed Enza Scarpa – e con Domenico Princigalli, direttore vicario del Lazio.
“Dall’iniziativa linee guida comuni per la trattazione dei casi”. “Questa iniziativa – ha riassunto Paura – si è rivelata molto importante sia dal punto di vista operativo, grazie all’elaborazione del documento che fornirà ai patronati del CePa e alla componente sanitario-amministrativa dell’Inail delle linee guida per la trattazione delle malattie professionali, sia per la rinnovata collaborazione, che auspichiamo possa evolvere e caratterizzare sempre di più l’azione di entrambe le organizzazioni”.
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Roma - mercoledì 20 marzo 2019
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Pubblicazione
22/03/2019, 16:32
Ultimo aggiornamento
22/03/2019, 16:32
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