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13 aprile 2017

Bioingegneria e invecchiamento attivo, l’Italia alla sfida dell’ultimo miglio

La presentazione del volume curato da Maria Chiara Carrozza, Eugenio Guglielmelli e Riccardo Pietrabissa, in un incontro promosso alla Direzione generale dell’Inail dalla Rivista degli infortuni e delle malattie professionali, ha offerto l’occasione per fare il punto su un settore in rapida espansione, che vede il nostro Paese all’avanguardia sul fronte della ricerca ma ancora in ritardo sul versante del trasferimento tecnologico

Bioingegneria e invecchiamento attivo, l’Italia alla sfida dell’ultimo miglio

Convegno

ROMA - “La bioingegneria per il benessere e l’invecchiamento attivo”. Questo il titolo del volume – curato da Maria Chiara Carrozza, Eugenio Guglielmelli e Riccardo Pietrabissa – al centro del convegno che si è svolto questa mattina a Roma, presso l’Auditorium della Direzione generale Inail di piazzale Pastore. L’evento – il secondo “invito alla lettura” promosso dalla Rivista degli infortuni e delle malattie professionali dell’Istituto dopo quello di un mese fa al Parlamentino di via IV Novembre – ha offerto l’occasione per un approfondimento a tutto campo su una disciplina che sta attraversando un periodo particolarmente ricco di opportunità, sia per lo straordinario progresso tecnologico che caratterizza questo inizio di secolo, sia per i nuovi approcci della medicina, nella quale si fondono strumenti, competenze e approcci metodologici che fino a pochi anni fa erano confinati in ambiti esclusivi.

“L’Istituto al centro del dibattito”. L’Inail nutre per questo argomento “un interesse specifico”, ha sottolineato il presidente dell’Istituto, Massimo De Felice, aprendo la serie di interventi moderata dal direttore della Rivista infortuni e malattie professionali, Luigi La Peccerella. Quella della bioingegneria, infatti, “è una prospettiva estremamente interessante, dal punto di vista oggettivo ma anche per l’Inail, che ha partecipato ai risultati delle ricerche documentate in questo volume sia in termini di finanziamento sia in termini di esperienza, con il contributo portato dal Centro Protesi di Vigorso di Budrio”. L’Istituto, ha aggiunto De Felice, è al centro del dibattito anche rispetto al tema dell’invecchiamento attivo, come testimoniano la partecipazione al gruppo di lavoro dedicato al lavoro che cambia attivato presso il Ministero e l’organizzazione, a metà marzo, di un convegno internazionale che ha riunito a Firenze autorevoli relatori internazionali per riflettere sulle conseguenze del progressivo invecchiamento della popolazione lavorativa.

Entro il 2030 in Europa il numero degli over 80 aumenterà del 40%. Le dimensioni del fenomeno sono state descritte da Eugenio Guglielmelli, prorettore alla ricerca dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, e Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di sanità. Fornendo un rapido distillato dei contenuti del libro – dalla medicina del futuro all’evoluzione della dignostica per immagini, dagli orizzonti della robotica indossabile ai sistemi di assistenza per la neuro riabilitazione e la vita indipendente, dalle tecnologie per il monitoraggio e la prevenzione delle cadute nell’anziano alla telemedicina e al telecare – Guglielmelli ha sottolineato che nell’Unione europea il numero degli abitanti con più di 80 anni è destinato ad aumentare del 40% entro il 2030. L’Italia, in particolare, “è il secondo Paese al mondo per longevità della popolazione, ma solo il 19esimo per longevità in buona salute”. Il punto centrale a cui la bioingegneria deve contribuire a dare una risposta, ha commentato a questo proposito Angela Goggiamani, sovrintendente sanitario centrale dell’Inail, è “come colmare il divario tra l’aspettativa di vita e l’aspettativa di vita in buona salute”.

“Una rivoluzione silenziosa che già oggi ha conseguenza drammatiche”. Per Ricciardi “è in corso una rivoluzione silenziosa di cui non abbiamo piena consapevolezza ma che già oggi ha conseguenze drammatiche”. Basti pensare che “quasi un italiano su due ha una malattia cronica: ipertensione arteriosa, diabete, problemi cardiologici, disturbi della tiroide…”. Il problema dell’invecchiamento della popolazione, quindi, “va discusso oggi e le soluzioni vanno trovate oggi”. Per riuscirci servono un piano di azione, un metodo scientifico, i dati che descrivono il fenomeno, la capacità di formare persone con competenze interdisciplinari, ed è fondamentale “essere in grado di produrre risultati concreti nel breve, medio e lungo termine”.     

“Le tecnologie possono migliorare la qualità della vita”. “Quello che noi ingegneri biomedici chiediamo con questo libro – ha spiegato Maria Chiara Carrozza, professore di bioingegneria industriale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – è di porsi il problema di cosa succederà quando in Italia l’età media degli operai arriverà a 50 anni, in breve tempo, e quando la diffusione delle malattie croniche sarà talmente importante da richiedere un bilanciamento del nostro sistema di welfare su queste questioni”. Se l’invecchiamento della popolazione lavoratrice minaccia la sostenibilità dello Stato sociale, “le tecnologie possono essere uno strumento di promozione della possibilità di avere una qualità della vita migliore, ma anche una qualità del lavoro meno usurante, più sicura e più a tutela dei lavoratori che invecchiano. L’Italia, come emerge anche dal nostro volume, può mobilitare una comunità di competenze diverse per affrontare questo tema, ma per farlo serve una visione trasversale e un approccio interdisciplinare”.

Bene la ricerca, ma il saldo della bilancia commerciale è negativo. “La ricerca biomedica – ha sottolineato Carrozza – nel nostro Paese è tra le più avanzate al mondo, sia nel settore della biomedicina in generale che nelle tecnologie biomediche, e ogni anno attrae sempre più studenti, ma adesso è fondamentale vincere la sfida dell’ultimo miglio, creando start-up e un’infrastruttura legale migliore per favorire il trasferimento tecnologico, sfruttando anche le conoscenze e le infrastutture dell’Inail e degli altri enti di ricerca italiani per riuscire a trasformare questo patrimonio intellettuale in prodotti concreti e con costi sostenibili, che siano utili per i pazienti e per tutti i cittadini”. Sul tema si è soffermato anche Riccardo Pietrabissa, professore di bioingegneria industriale al Politecnico di Milano, che ha sottolineato come l’Italia, a dispetto della sua ricca produzione scientifica, sia “l’ottavo Paese al mondo che importa tecnologia medica, ma soltanto il 12esimo per esportazioni”. Il saldo negativo della bilancia commerciale si può spiegare “con problemi strutturali, a partire dalle difficoltà di accesso al mercato”. Rimuovendo questi ostacoli e promuovendo l’ambito industriale, però, “in questo settore possiamo essere leader”. 

“Per vincere la sfida necessario unire le forze”. “È una sfida difficilissima – ha spiegato il direttore generale dell’Inail, Giuseppe Lucibello – che si può vincere solo unendo le forze. L’Inail ha già fatto questa scelta non solo sul fronte protesico-riabilitativo, ma anche con il nuovo piano di ricerca 2016-2018, che affronta le tematiche dell’invecchiamento attivo sotto il profilo dell’indagine dei fattori che determinano l’inabilità, delle problematiche che vanno affrontate, partendo dall’analisi delle informazioni contenute negli open data, e dell’individuazione degli elementi che ostacolano il reinserimento attivo, tenendo conto anche delle nuove tecnologie, che possono assistere il lavoratore o agevolarne il reinserimento dopo un infortunio”. Per “percorrere l’ultimo miglio che separa il deposito dei brevetti dalla realizzazione concreta di prodotti e dispositivi – ha aggiunto Lucibello – l’Inail mette a disposizione di tutti gli attori della ricerca e della prevenzione tutti i suoi centri, a partire da quello di eccellenza di Vigorso di Budrio, e punta anche a investire insieme ad altri soggetti in start-up, con l’obiettivo di accelerare il transfer tecnologico”. 

“È un’occasione di sviluppo per tutto il Paese”. Anche Giovanni Leonardi, responsabile della Direzione generale della ricerca e dell'innovazione in sanità del Ministero della Salute, ha sottolineato l’importanza di investire di più nel trasferimento tecnologico e la necessità di promuovere “un processo di rete, che veda collaborare insieme istituzioni, università, centri di ricerca e industria”, partendo dalla consapevolezza che quello della bioingegneria è “un settore in cui possiamo davvero svilupparci come Paese. Abbiamo, infatti, una serie di scoperte e nuove frontiere tecnologiche che possono aiutarci ad affrontare le problematiche legate all’invecchiamento e all’assistenza sanitaria in generale, diventando allo stesso tempo un’occasione di sviluppo”.

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