I materiali alla scala nanometrica (1-100 nm) hanno dimensioni tali da consentire alle particelle di penetrare l’organismo umano fino alle zone polmonari di scambio gassoso, alveoli e, secondo alcuni studi di interesse, direttamente la regione cerebrale. Inoltre, più piccole sono le particelle, più ampia è l’area superficiale per unità di massa, il che rende le nanoparticelle potenzialmente molto reattive nei sistemi cellulari, soprattutto quando la composizione chimica comporta un rischio per la salute per le proprietà tossiche.
Le nanoparticelle possono essere presenti in forma aerodispersa come risultato di contaminazioni ambientali da sorgenti emissive antropogeniche (ad esempio prodotti dei processi di combustione incompleta, ecc.), come derivato di processi lavorativi (ad esempio taglio meccanico, levigatura, ecc.) oppure essere deliberatamente generate nell’ambito di processi di produzione di materiali innovativi, ad esempio nanomateriali e materiali avanzati.
Anche se le nanotecnologie offrono grandi opportunità di sviluppo sociale ed economico in vari settori, tuttavia rimangono ancora molte questioni aperte sul loro attuale e futuro potenziale con particolare riguardo agli effetti sulla salute umana. Nonostante la comunità scientifica abbia concentrato i propri sforzi per colmare le lacune nelle conoscenze e promuovere la ricerca tenendo in considerazione i rischi potenziali per i lavoratori, non si sono ancora raggiunti risultati chiari e condivisi sui limiti di esposizione occupazionale, anche per i pochi studi epidemiologici in letteratura e per la complessità degli scenari espositivi. Gli ultimi aggiornamenti in ambito normativo riguardano l'inclusione delle nanoforme negli allegati del REACH e l'uso obbligatorio di dispositivi di protezione individuale per proteggere i lavoratori nelle attività in cui è stato riconosciuto il rischio di esposizione a nanomateriali (Direttiva 2019/1832 della Commissione europea).
È necessario, pertanto, promuovere uno sviluppo responsabile delle nanotecnologie in un approccio di prevenzione del rischio emergente in ambiente di lavoro. La collaborazione in ambito nazionale ed internazionale risulta cruciale anche per il contributo alla regolamentazione e il supporto alle imprese per la gestione del rischio da esposizione a nanomateriali.
In questo ambito il Laboratorio rischio agenti chimici del Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale effettua attività di monitoraggio dell’esposizione nei luoghi di lavoro attraverso analisi di caratterizzazione chimico-fisica di nanomateriali aerodispersi, tra cui quelli di maggiore interesse occupazionale sono: nanotubi di carbonio, grafene e altri materiali bi-dimensionali, nanoparticelle di silice amorfa e di ossidi di titanio e cobalto.
Relativamente all’attività di valutazione dell’esposizione a nanoparticelle aerodisperse, è stata messa a punto una metodologia basata sugli standard ISO-CEN e OECD. Questa prevede il monitoraggio ambientale e personale nei luoghi di lavoro, attraverso un approccio multi-parametrico e per livelli successivi di indagine, utilizzando strumentazione real-time (per la misura di concentrazione in numero, distribuzione dimensionale, area superficiale della frazione alveolare, altri inquinanti e parametri climatici) e analisi off-line per la caratterizzazione chimico-fisica e morfologica dei nanomateriali.
Il Laboratorio rischio agenti chimici effettua altresì attività di monitoraggio biologico di lavoratori esposti a diversi inquinanti negli ambienti di lavoro, attività che potrà coadiuvare la caratterizzazione degli scenari di esposizione.
Tutte le informazioni raccolte vengono messe in relazione con i dati derivanti dagli studi di tossicità (Laboratorio rischio agenti cancerogeni e mutageni) al fine di sviluppare una metodologia integrata e strumenti per la prevenzione e la gestione del rischio da esposizione a nanoparticelle nei luoghi di lavoro, anche nell’ottica di garantire uno sviluppo sicuro e responsabile dei nanomateriali e dei nuovi materiali avanzati.