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Inquinamento e contaminanti suolo, acqua, aria

Biotecnologie per la riduzione dell’inquinamento e dell’esposizione a contaminanti di suoli, acque ed aria, negli ambienti di lavoro e di vita.

Le biotecnologie ambientali svolgono un ruolo decisivo nella realizzazione di uno sviluppo sostenibile duraturo. Questo settore è in continuo sviluppo poiché negli anni sono sempre più numerosi i casi di contaminazione di suolo, falde acquifere e atmosfera, causati dal rilascio di sostanze inquinanti.

Tra Europa e Stati Uniti i siti contaminati documentati si aggirano attorno al milione, tra rifiuti pericolosi e contaminanti industriali, con i costi ambientali, sociali ed economici che ne conseguono. Per l’Europa, il problema è oltretutto intensificato per l’elevata densità di popolazione.

Tali considerazioni portano a ritenere che le priorità urgenti per garantire uno sviluppo sostenibile durevole debbano includere l’adozione diffusa di tecnologie produttive pulite (processi e prodotti puliti) e di tecnologie per il ripristino degli ecosistemi (biorisanamento ambientale).

I processi microbiologici responsabili della trasformazione degli inquinanti (biodegradazione, mobilizzazione, immobilizzazione, detossificazione) rappresentano il motore che guida i fenomeni di attenuazione naturale della contaminazione, cioè la capacità di auto-depurazione degli ecosistemi. Tuttavia, l’accumulo di inquinanti altamente tossici in ambiente rende evidente che il flusso dei contaminanti di origine antropica è troppo elevato perché i microrganismi, in condizioni naturali, riescano da soli a smaltirlo.

L’obiettivo è arrivare alla comprensione dei processi microbici nei sistemi ambientali d’interesse, promuovendo e sviluppando approcci biotecnologici (ricerca di biocatalizzatori, di nuove specie microbiche, di nuove funzioni metaboliche) che facciano leva sulle ultime tecniche “omics” e le integrino con processi informatici.

 

Gli idrocarburi di origine petrolifera possono essere accidentalmente rilasciati in ambiente generando problemi a causa della loro tossicità per l’uomo. Per questo motivo sono state sviluppate diverse tecnologie per la bonifica di siti contaminati da idrocarburi.

È possibile bonificare un sito contaminato utilizzando tecniche chimico-fisiche e biologiche (biorisanamento). Mentre nel primo caso si opera solitamente rimuovendo la matrice contaminata (acqua, suolo o sedimento) o aggiungendo prodotti chimici per favorire la degradazione degli inquinanti, il biorisanamento sfrutta la capacità di diversi gruppi di batteri (o funghi) di rimuovere gli idrocarburi, utilizzandoli come fonte di energia e per la crescita.

La rimozione biologica di contaminati presenta numerosi vantaggi rispetto alle tecnologie tradizionali: è più economica; favorisce un più rapido ed efficiente recupero della funzionalità della matrice contaminata dopo il completamento della bonifica; porta alla rimozione della contaminazione senza la necessità di stoccare il materiale contaminato in apposite discariche. L’obiettivo delle tecnologie di biorisanamento è di stimolare l’attività dei microorganismi degradatori favorendo condizioni adatte alla loro crescita.

Uno degli ostacoli principali alla degradazione microbica degli idrocarburi è rappresentato dal rapido consumo di ossigeno all’interno dei siti contaminati a causa dell’elevata concentrazione di substrati biodegradabili. Risulta quindi necessario fornire ossigeno per la respirazione e questo può implicare alti costi energetici. Diversi gruppi di batteri, tuttavia, possono utilizzare per la respirazione substrati diversi dall’ossigeno, rimuovendo gli idrocarburi anche in condizioni dette anaerobiche.

Recentemente è stata presentata la possibilità di utilizzare dispositivi innovativi, detti sistemi bioelettrochimici (BioElectrochemical Systems, BES), per la stimolazione dell’attività degradativa in assenza di ossigeno. Questi dispositivi sfruttano la capacità di alcuni batteri di degradare la sostanza organica utilizzando un elettrodo per la respirazione cellulare e producendo quindi un segnale elettrico. Il segnale elettrico prodotto può essere sfruttato per in appositi biosensori per il monitoraggio in continuo della degradazione o della concentrazione dei contaminanti, oppure può essere utilizzato per alimentare piccoli dispositivi in-situ.

L’utilizzo di un sistema BES per la stimolazione dell’attività degradativa in ambienti marini, ad esempio, può prevedere il posizionamento di un elettrodo (chiamato anodo) all’interno di sedimenti contaminati, in cui sono presenti condizioni anaerobiche. L’anodo può poi essere collegato ad un secondo elettrodo (catodo) posto nell’acqua. Il catodo si trova quindi ad un potenziale più alto e ed è possibile la produzione di corrente quando i batteri usano l’anodo come accettore di elettroni durante la respirazione. In un sistema simile, l’utilizzo di un anodo di grafite, può costituire un vantaggio, perché i contaminanti possono essere adsorbiti sulla superficie dell’elettrodo, dove vengono co-localizzati batteri e substrati per la crescita.

Una variazione dell’applicazione descritta in precedenza può essere rappresentata dai cosiddetti snorkel elettrochimici, ovvero da bacchette di grafite con un’estremità inserita nel sedimento e affioranti sopra la superficie del sedimento con l’altra estremità. In questo modo la zona anaerobica e la zona aerobica sovrastante risultano elettrochimicamente connesse. In questo caso tuttavia non è possibile generare elettricità perché la connessione è generata usando una sola bacchetta di grafite che attraversa le zone a potenziale redox differente.

I dispositivi BES possono trovare applicazioni anche per la bonifica di falde o suoli contaminati. Inoltre, gli inquinanti che possono essere trattati non sono solo gli idrocarburi. È possibile infatti stimolare anche la riduzione (dealogenazione) di solventi clorurati o la riduzione di metalli.

Diversi studi di laboratorio hanno già dimostrato le potenzialità di questa tecnologia su piccola scala in sistemi relativamente semplici. I prossimi obiettivi della ricerca scientifica dovranno essere volti allo studio di situazioni più complesse (ad esempio co-contaminazioni) e allo scale-up, passando da sistemi a livello di laboratorio ad impianti pilota.

I microrganismi, grazie alla versatilità del loro metabolismo, hanno dimostrato di essere factories importanti con un potenziale immenso ed in genere di basso impatto ambientale, che possono essere impiegati nella produzione industriale di numerose molecole per specifiche applicazioni.

Inoltre, sono noti microrganismi capaci di accumulare e detossificare metalli pesanti e metalloidi tossici (e.g. arsenico) grazie a vari enzimi, contribuendo alla riduzione dell’inquinamento ambientale di origine antropica. Ulteriori utilizzi del biotech sono mirati a realizzare una transizione dalla bonifica dei rifiuti verso la raffinazione dei rifiuti per recuperare e riutilizzare risorse preziose, consentendo così lo sviluppo della bioeconomia.

Le ricerche sulla diversità microbica aiutano ad identificare microrganismi di potenziale interesse per applicazioni biotech. Risulta importante conoscere determinate caratteristiche dei microrganismi di interesse biotecnologico, in particolare le informazioni molecolari e genetiche (sequenze di nucleotidi del genoma) che sono alla base di importanti processi industriali biotech quali la produzione di specifiche molecole (e.g. proteasi, amilasi).

La ricerca a livello genomico e post-genomico di microrganismi di potenziale interesse industriale fornisce inoltre solide basi molecolari attraverso le quali indagare su caratteristiche inerenti la potenziale pericolosità di un ceppo microbico. Ad esempio, i microrganismi possono modificare l'informazione genetica del loro genoma attraverso processi quali il trasferimento di geni da un microrganismo all'altro mediante meccanismi di scambio genetico (trasferimento genico orizzontale). Evidenze scientifiche hanno dimostrato come nel genoma batterico (a livello cromosomico e/o plasmidico), la presenza di geni in grado di codificare la produzione di molecole correlate a patogenicità o resistenza ad antibiotici può essere conseguenza di segmenti di DNA acquisiti orizzontalmente. 

Il sequenziamento di nuova generazione consente ai ricercatori di scoprire nuovi ceppi microbici, confrontare i loro genomi e definirne in dettaglio l'evoluzione molecolare. La bioinformatica di dati molecolari ha recentemente ricevuto notevole sviluppo per lo studio sia di comunità microbiche che di geni e/o interi genomi di microrganismi di particolare interesse per applicazioni biotech. Come conseguenza, recenti ricerche di genomica e post-genomica su nuovi ceppi microbici hanno come obiettivo l’approfondimento delle basi molecolari di processi importanti quali bioconversioni, rimozioni di inquinanti, produzione di tossine e di allergeni.

Per inquinamento atmosferico si intende ogni modificazione dell'aria atmosferica, dovuta all'introduzione nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell'ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell'ambiente (D.Lgs. 152/06 - Art.268).

Nell’ambiente urbano l’inquinamento atmosferico è dovuto alle emissioni dei gas di scarico di autoveicoli, centrali elettriche, caldaie, fabbriche ed impianti di incenerimento. Gli inquinanti più diffusi in atmosfera sono gli ossidi di azoto (NOx), il biossido di zolfo (SO2), il monossido di carbonio (CO), l'ozono, i composti organici volatili (COV), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), le polveri.

La valutazione costante della qualità dell’aria è quindi fondamentale per la salvaguardia della salute sia della popolazione sia di quelle categorie professionali per le quali l’ambiente urbano si configura come ambiente di lavoro. Particolare attenzione è rivolta agli inquinanti d’interesse tossicologico in quanto cancerogeni, come l’amianto, il benzene ed il particolato atmosferico recentemente classificato tra i cancerogeni certi per l'uomo (IARC 2013).

Per la valutazione dell’esposizione della popolazione ad agenti chimici pericolosi sono monitorati, presso la stazione di monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità (Viale Regina Elena 299, Roma), i seguenti inquinanti: monossido di carbonio (CO), composti organici volatili (COV), ozono (O3), ossidi di azoto (NOx), anidride solforosa (SO2) e il PM2.5.

In questo ambito sono studiati gli andamenti giornalieri e stagionali degli inquinanti campionati correlandoli fra di loro per identificarne le principali sorgenti.

Per approfondire gli studi relativi alla formazione del particolato secondario, il PM2.5 campionato è analizzato tramite microscopia elettronica a scansione munita di spettrometria a raggi X a dispersione di energia (SEM/EDX) che consente di effettuare la caratterizzazione chimico-fisica delle singole particelle costituenti il PM per determinarne la morfologia, le dimensioni e la composizione chimica.

Tale attività si pone l’obiettivo di caratterizzare sia le particelle costituenti l’aerosol secondario derivanti da reazioni di conversione gas-particella, sia quelle derivanti da processi di combustione incompleta e veicolanti composti organici volatili sulla loro superficie. Contemporaneamente alle misure degli inquinanti è campionata la progenie del radon, indice delle proprietà di diluizione dei bassi strati dell’atmosfera, utile per l’interpretazione degli andamenti di tali sostanze al suolo.

Il metodo standard usato per la misura della concentrazione di fibre aerodisperse di amianto prevede l’aspirazione di un volume noto di aria potenzialmente contaminata attraverso un filtro a membrana, la diafanizzazione ed il montaggio del filtro (o porzione di esso) su vetrino ed il conteggio delle fibre considerate respirabili (lunghezza > 5 µm, diametro < 3 µm e rapporto di allungamento > 3:1) mediante un microscopio ottico a contrasto di fase (MOCF). Tuttavia l’applicazione di questo metodo può portare a sensibili differenze nei risultati prodotti all’interno di uno stesso laboratorio (intra) o tra laboratori diversi (inter). Per governare questo problema sono stati dedicati significativi sforzi per armonizzare e standardizzare il metodo analitico, tuttavia ancora non si è riusciti a correggere in modo significativo le numerose sorgenti della variabilità inter ed intra-laboratorio.

Negli ultimi anni è stata sviluppata una tecnica che consente a tutti gli analisti di esaminare per ogni vetrino esattamente gli stessi campi e che può ridurre significativamente le fonti di errore. Questa tecnica è basata sulla deposizione di reticelle per microscopia elettronica a trasmissione (TEM) sulla lamina copri-oggetto. Nelle reticelle è incluso un sistema di coordinate che consente di riposizionare ciascun campo di lettura. Inoltre, i vetrini riposizionabili certificati consentono anche di individuare il tipo di errore commesso dall’analista. Questo innovativo tipo di vetrini è utilizzato da alcuni anni nei programmi di controllo della qualità dei conteggi di fibre in Canada ed è stato introdotto sia nel programma PAT (AIHA) in USA che nella nuova versione del metodo standard ISO 8672- 2014.

In questo studio sono stati distribuiti vetrini riposizionabili contenenti fibre di crisotilo e di amosite a laboratori che normalmente utilizzano la microscopia ottica in contrasto di fase per valutare l’esposizione dei lavoratori a fibre di amianto. Gli scambi dei vetrini fra i diversi analisti consentono di individuare la tipologia di errore commesso dal singolo operatore fornendo un valido strumento per migliorarne le prestazioni. Il miglioramento delle prestazioni è un dato importante per una corretta valutazione del rischio di esposizione dei lavoratori addetti alla bonifica dei materiali contenti amianto.

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